martedì 26 giugno 2012

L'EPOPEA DI DALLAS

Orbene, posso confutare coloro che, senza premeditazione, hanno distillato l’attenzione di Dio sottoscritto dall’estrapolare concetti sublimi circa alcune teorie ancestrali e tendenziose. Quale assurdità mai è succeduta da che il difetto in questione principiò nell’anno 2007 mese novembrino giorno 7 di gloria Rominesca? I fratelli Nottingham hanno sentenziato tre faziose congetture; premetto che nella solitudine di codeste affermazioni gioisco non poco, poiché mi sento profondamente clemente nonché sovrano. La prima falsità così recita: l’Iddio Romino non è contemplato dagli sceriffi della foresta, onde per cui non esiste. La seconda sciagurata premessa si giace nella flatulenza assoluta di costoro: nulla può Romino l’effimero contro Chuck Norris; da cotale oscenità discende la falsità secondo cui me medesimo viene paragonato al redivivo karateka statunitense villoso. “Statte quèto” è la terza ignominia dell’uomo mortale. Fu così, allorquando ogni cosa era stata concepita esaurientemente, che mi diressi laddove i gemini ostentavano la loro rusticità finta e malversa. Sciocchini e sicuri del fatto loro, codesti conversavano ignorandomi con un tale ostracismo da lasciarmi interdetto; il bivacco contava male i tre passi che mi separavano dalle giuste afflizioni che avevo in mente. “Povero illuso” confabulavano sorridenti i tre albionici illudendosi di poter fendere le mie ragioni. Cominciai dal terzo: agganciai Putiferio 7 al martello pneumatico di Nonno Astuccio dopo di chè esclamai: “Statte quèto tu! Cò chi cazzo parìi?” e ciò detto sobillai con l’ardito manufatto ‘Demone venturo”, colui che ozia sui bollini Mulino Bianco. “Iardi nò poco sti tre cialtroni accussì se ‘mparano a farse gli cazzi loro!”. Al che il demonio sfregò Putiferio 7 sull’aculeo inguinale ed emise una dilagante strage con miasmi ribollenti e flatulenti. Terzo cimelio prediletto di quella che fu la morte rapida che si abbatté su di loro divenne, ostentata da augusti sovrani decaduti, la mia unica fonte di gloria incontrastata: David Gnomo.
Distrutta la blasfemia, ricordai di avere un conto in sospeso con quel fautore di pessimi argomenti pubblicati su ‘Calcio rotante tritacarne’, che tra l’altro annotava in vari punti di come la supremazia e l’arte marziale hamburger fosse indiscussa. Tra gli autori, oltre al suddetto Norris, gomitolo di pelo imbacuccato, v’erano Michael Dudikoff, esecrabile combattente del sabato sera, un certo fiammingo Jean Claude Van Damme, eroinomane figlio illegittimo della grotta di Pasternak e infine glio negro de ‘Walker Texas Ranger’, detto ‘Ettate de sbieco o sì muorto’. Decisi quindi di planare a Dallas ornato di candido piumaggio e becco adunco, nonché dei miei migliori artigli e stellette ninja (i migliori arnesi del popolo televisivo) per suppliziare a modo i quattro vanagloriosi atleti. Scagliai la sesta stelletta munita di anatema indelebile verso un passante, che alla mia vista disse: “Mercy, boy!” Ma io ritengo oltraggioso l’idioma suddetto con decadenza fonetica anglofila e soprattutto non tollero che mi si parli appena atterrato. Il bovaro fu seminato nelle piantagioni di hamburger a concimare teschi di vacca finta, adoperati sulle vistose autovetture occidentali. “Dov’è J.R.?” urlai a chi che sia e sparando all’impazzata. La città ammutolì, decisa a non rivelarmi alcunchè. E’ meglio parlare subito prima di far incollerire il rapace appollaiato sulla tua testa. Quindi inscenai Sparatoria 12 tratta da “Ehi amico…c’è Sabata, hai chiuso” il mio Western preferito. E in verità Lee Van Cleef eseguì immantinente il suo uffizio prima che il rapace si nutrisse delle carcasse radunate lì d’intorno. Salutai il vecchio Lee ed egli stappò una bottiglia di vecchio brandy narrandomi di quando aveva pisciato su un certo Clint Eastwood; quindi si congedò galoppando verso il tramonto. Ad un tratto esclamai: “Ehi vecchio, dove te ne vai?” “Affanculo” rispose il cavaliere solitario nerovestito. “Mica sai addò abita J.R.?” il baffuto pistolero rispose seppure indugiando: “a El Paso”. Fischiettai giulivo alla volta di El Paso attirando l’attenzione sulla groppa del mio destriero Giallastro Alifax che un tempo trafugai ad un tal dei tali che tutti chiamavano Brancaleone Terenzio. Indossavo Vecchia Coperta Eminflex Etichetta Nera e il cappello di Silvan scrupolosamente tratti dai legittimi proprietari nel mio astuccio, dopo averli scoperchiati. Così camuffato giunsi laddove il vento sibilava sui legni cigolanti di un fatiscente borghetto di confine; dei messicani avvinazzati osarono darmi del tu. Celere fischiai il mio disappunto e le colt mi accompagnarono nell’atto estremo che li vide morti. Incedetti lungo il viale, nel silenzio tombale della città fantasma. Allora chiamai Zio Ennio a gran voce e questo convenne esaudendo le pretese musicali di cui la colonna sonora abbisognava. Su quelle note il possente Alifax calpestò Cantatu, rinomata merdaccia canterina, figlia di Fiorello e di una gigantessa del Nord, Frinilde Von Schultz, normalmente considerata magistrale viadotto fognario dell’Impero. Partì una cacofonia di indicibile bellezza, nonché fastidio incombente e allora uccisi il robotico bambino e lo donai ad un vecchio barbuto che si ciondolava senza piedi presso il saloon ove mi recavo. “Prepara tre casse” gli intimai. “What?” disse lui. “No, what no” gli anticipai fraterno. Costui intromise una complicazione nell’eterno convivio fraterno che ci univa; così lo raccolsi e lo privai dei canini prima di piantarlo su nu cactus infilandogli gli aculei sotto le unghie dei piedi che non aveva, quindi lo salutai calorosamente. Il vento carezzava la parte sinistra della mia divina natica procurandomi uno strano tremolio, sicchè decisi di estrarre anzitempo la mia nerchia, né mi curai di chi avevo innante. Lo nobile augello attinse vorace alle grazie dello sciocco dinanzi all’entrata bifronte, suscitando ilarità tra alcuni gringos intenti a sbevazzare pessimo distillato di corteccia. Entrai baldanzoso e notai di essere oggetto di scherno puerile. Quindi mi accostai al balcone e dissi all’oste: “birra calda dell’Alsazia” aggiungendo subito “keine gegenstaende aus dem fenster werfen”. L’oste rimase sbalordito alquanto e finanche la musica cessò. Uno solo continuava a parlare, nello stesso idioma, imperterrito: era Klaus Kinski. Mi avvicinai alla rozza figura teutonica malamente sbozzata e lo svitai all’altezza della vita onde appurare la scadenza indicata all’interno del marchingegno da sempre difettoso costruito a Dresda. “Sta scritto” dissi alla volta dello smemorato che ora era sdoppiato: “tu sei un doppelganger scaduto” e a quelli “ora riavvitatelo pure se vi riesce”. Così ordinai mentre lasciavo andare una caccola rilucente sulla testa del sassone dimezzato: “giù la testa!” lo canzonavo nel mentre. Mi diressi nel silenzio più imbarazzato alla volta del pianista esterrefatto: “sona senza mani” lo incoraggiai. “Eh?”. Ciò mi indispose notevolmente: di qualunque cosa mai dire parole inutili a me, se sai suonare senza mani. Afferrai il musico per i polsi e lo accostai alla tastiera, quindi strappai Motosega Bluff dall’astuccio e mi applicai nel recidergli i polpastrelli inutili come le sue parole. Riagganciai poi i tasti nella poltiglia un tempo chiamata mano, tramite mastice indelebili made in C.C.C.P.: lo rabbuffai giulivo incitandolo a provare ancora. Divenne Beethoven Maleverso, così potè farsi chiamare da tutti. D’un tratto si spalancò il portello bifronte mentre il pianista tentava un’esecuzione approssimata della ‘Ballata del vecchio ubriacone messicano’. Allorquando stavo per sciorinare Trattore dall’astuccio bifronte avvenne che un intruso mi toccasse il sedere nella parte sinistra pocanzi eccitata dall’aere. Segnali incontrovertibili circa la sua origine provenivano dal tanfo negroide diffusosi nel tugurio insieme ad un riso contaminato dal rivoltante gusto di cotone. “Ringo boys?” così esordì speranzoso Apollo Creed. “No?” replicò il pianista, che io uccisi subito dopo. “No” confermai altero perché 1) sì negro; 2) Predator t’ha staccato glio vraccio; 3) è meglio Ivan Drago; 4) l’hai mai usata la conchiglia turca? 5) và a fà glio cotone cò Eriberto Predator”. Il negro era spaesato mentre il mio mignolo fremeva di colpirlo con tecniche tratte dalla Divina Arte Trascendentale di Svudoi. Comunque impietosito mi limitai a sfoderare, avvinto, Diario di Anna Frank modificato a conchiglia e di annullarne la mente in un forno crematorio turco abilmente sottratto ad Ernesto Bevilacqua mentre era in vacanza a Gualì cò glio frate cannibale. Il libello, mentre veniva letto, produsse Maestro Obsoleto inzuppato male con salsa nazista e l’atmosfera di colpo si incupì, rammentando a me medesimo Weimar prima dell’’incendio: “Mò bivi e statte quèto, tezzone! Assomigli a Lando Calrissian, ma chiglio gl’ha acciso Chewbacca a metà dell’episodio VII° Papiro Star Wars e la palestra de Peppino”. Ma tornando a noi vi dirò che bevve con solerzia, senza costrizione e non parlò più fin quando non iniziò a verificarsi una metamorfosi dapprima cutanea, poi, tra le urla più oscene, muscolare e infine nervosa fino a che non divenne Kurt Russell in balia di Side-car Lo Peng. Il libro funzionava e l’epilettico si accinse a tornare al suo campo portando incisa la mia sfida sulla scocca: “fottuto ricchione esimio, mezzo cowboy, mezzo sciacallo, mezzo pub e messo stereo e mezzo sigaro e mezzo e altri ancora e qualora non tornassero i conti ‘mparate la tabellina, è inutile che magni petrolio e mitti glio ketchup nella machina: ti rammento che tèa ‘mparà nò mestiere come si deve, invece che continuà a mannà negri. E’ meglio che te prepari all’agopuntura senza via di scampo; dalle mie divine ire avrai soltanto agonia feroce. Se tiè quatto pecorelle scoradatele pecchè dimani le trasforma a chihuahua de torema. E’ inutile che chiagni, tiè 2 alla pagella e dimani sì muorto…Fraternamente, tuo cugino di terzo grado, salutame a soreta. Romino Gagarin”. La cute infuocata recapitò solerte il messaggio e non ci volle molto prima che J.R. ne fosse giustamente turbato. Si diceva che in giro che il Gran Texano amava recarsi personalmente allo spaccio municipale per acquistare oppiacei di provenienza discutibile per poi sollazzarsi tra fumi, allietato da pederasti delle Barbados… Il gay pride era ormai all’acme libidinoso e la gioia sodomita attraversava la breccia muraria della mia clemenza, alimentando il disgusto di cotale scempio all’umana percezione. Estrassi Esplosivo Borneo dall’apposito tabernacolo e lo configurai nella modalità 1968. Le coordinate giustappunto sessantottine erano figlie dei fiori anch’esse per cui dovetti ammettere il mio errore ripulendo il giardino dalle sterpaglie e rimpiazzandole con Gengis Kahn e la sua orda; gettai l’ordigno adeguatamente corretto e con nonchalance mi allontanai mentre un funghetto assai ameno sgretolava i popoli alle mie terga. Giunsi all’oscena soglia e pigiai il campanello d’oro mentre Zio Ennio si lanciava imbottito di dinamite oltre l’orrido androne al suono di: “Forza lupi!”. Deflagrò l’atrio corredato di negri e l’unico che mi si parò dinanzi fu l’american warrior Michael Dudikoff, schiappa ninja devota a Maria Assunta la lubrica: “ehi, pippa” gli annunciai, sorridendo fraterno. “i tuoi films se quagliano male”. Il biondo non comprese l’antifona ed io “quando li vedevo da piccolo mi generavano dissenteria e flatulenze e le stelline si squagliavano; quando li vedevo da ragazzo mammema stutava la TV e me vattèa; infine, durante la più recente visione, mi sono accorto che è meglio a drogà”. Ciò detto lo riposi dentro l’astuccio rimuginando tra me e me: “in quale formato lo estrarrò adesso?” A quella dissertazione non seguì un accurato epilogo ma fu l’Astuccio stesso che mi tolse dagli impicci vomitando Alien senza cosse che somigliava un po’ a Michael Dudikoff. Il mio bazooka finì il lavoro e lo strano essere si accomiatò dall’esistenza senza avere mai ribattuto e tuttora giace nell’Inferno dei karateki sott’olio insieme a Kim Rossi Stuart e Jet Lee. Mi incamminai tosto al 2° Livello con la speranza di trovare migliore avversario, ma il dubbio persisteva allorchè vidi un belga sudato dalle occhiaie paonazze che tentava di succhiarsi il francofono augello mentre faceva la spaccata. Ed io: “nullafacente, i so Tong Po, mica stai alla Tailandia?frocio! Mò te la faccio vedè ì la spaccata”. E senza indugiare oltre operai l’antica mossa del mostro dell’8° Quadro de Toky, da me opportunamente corretta in ‘Spaccata 7° Svudoi Senza Fiatà’. Attaccai le caviglie del belga usando come pesi due olifanti obesi punzecchiati da topolini. Funi di metallo arrozzenite laddove grossi braccioli avrebbero dilaniato il figlio di Bruxelles. Il drogato perverso toccò le pareti cercando la final rivalsa, stavolta fallendo poiché egli non conosceva le vie della Misericordia Divina né la terribile potenza del suo fautore, ovviamente Me medesimo, lo Svudoi. Squartato con piacere quel Lionheart senza pelo, ne seminai le interiora sui campi di Megiddo, sorridendo come Gesù bambino ed esortando Bugenhagen a ricoprirlo di sale grosso di modo che non potesse rifiorire mai più. “Manca qualcuno”, mi domandavo mentre risalivo verso il piano successivo e, per passatempo, scrutai ben bene le pareti affrescate con tre seghe fin troppo generose, che fintamente vincevano sempre. Sentivo puzza di Texas mescolato e fetore di Louisiana; c’era un cappello ai piedi di un seggio ma non me ne fregava un cazzo, così lo diroccai; ma dietro c’erano due stivali e anche di questi non parve concretizzarsi alcun che. Espletai una minaccia riguardante il giuoco del nascondino che quel cialtrone stava perpetrando: “conto fino a due: due! Tana massacratutti.” Al che una nuda figura d’ebano sortì da un angolo fidando di essere agile assai. Era solo un negro laterale fiondato orizzontalmente che urlò: “I’ so amico de Chuck!”. “Chuck Castoro?” chiesi io ironico, mentre il giovanotto rotolava nella tana del cartone animato suddetto trasformandosi in roditore negro. Ma il ruscello ribolliva e lo sventurato decise di suicidarsi saltando fuori in modo verticale, acciocchè potei servirmi di un pallone da basket modificato, che lanciai con Mano di ferro Svudoi alla volta del canestro anale, sodomizzandolo per l’eternità; fu relegato nell’Inferno dei negri, dove gli Harlem Globetrotters vengono sconfitti per sempre dai puffi e Gargamella. Si spalancava ora l’Ascesa verso il 4° Quadro, che si dipanava a guisa di Circo Massimo barbuto e fulvo. Il vento scompigliava lo villoso petto del fiero nemico dei ciarlatani orientali: il vecchio Chuck era in posa. “Castoro” dissi emulando mio zio Romualdo Gagarin, “il tuo amico è morto malamente e la prossima volta tocca a te, strunzo!”. Inneggiai l’Almanacco della sera fingendomi Bernacca e predissi maltempo con un tono trecentesco, mentre lo statunitense si dedicava a esercizi ginnici in memoria dell’aiutante estinto. Di certo io dò grande valore alle sfide finali, qualora questa fosse mai stata una sfida. Per cui mi dedicai al Cubo di Rubik distrattamente, dove le sei facce erano quelle di Chuck Norris. Mi annoiai presto quando mi avvidi di riuscirci facilmente; spaccai il cubo quindi sulla testa di Chuck Norris, attivando Tozay Calcio Triplo Innocuo. Dall’immunità evidente e incontestabile, il pugnante venne alquanto sfracellato, poiché adoperai il 13° Guerriero Svudoi; questi sortì benemerito dall’Astuccio cinefilo e infierì con Spada Laser Buitoni sulla lanugine dello sciagurato apparato mascellare. Infierii lesto sul cuoio capelluto con benzina spray, sostituendolo al monaco verde che sonnecchiava male su Cerniera Rapida senza locazione tridimensionale. Finì anch’egli nell’inferno degli anni ’80 dove Bruce Lee canta con i Queen e supplizia coloro che si ritengono superiori a lui: cognatemo, perché s’è sposato cò sorema morta, campionessa tridimensionale Svudoi. Fu così che ebbi sentore di vittoria, allorchè dall’alto discese il Gran Texano: “Romino non essere dispettoso, la questione è indubbiamente di facile epilogo; rifletti prima di ardire alla riflessione finale, o brutale se vogliamo”. Il tizio si spostò solennemente lasciando innanzi a me medesimo ‘Cammina su glio cemento Remo Williams anni ‘80’. Al che io spazientito sibilai: “signor illuso cappieglio parlante, mò è ora che te cionco mani e pieri, a te e a sto specie de Gesù Cristo dei poveri, che prestamente finirà come il salvagente di mio cognato”. “in che modo?” “’N’so cazzi tuoi ‘nsolafaturo!”. A quelle minacce Remo camminò spavaldo su un plesiosauro che non dormiva per quel momento. La tinozza laterale presentava trenta centimetri di melma e di scorbuto perenne: applicai una ‘ci-gomma’ blè a turbina e innescai Onda Anomala Sexy nell’acquitrinio. Inutile dire che il fossile affogò presto, invitando con sé l’emulo evangelico di mio cognato. Sputazzando beffardo si erse goffamente a pelo d’acqua e io come un airone planai disinvolto in un’ansa mediocre e tirai lo sciacquone lanciando l’idiota nel baratro finale, laddove l’Inferno dei nomi altisonanti lo attendeva sul ciglio del Monte Gagarin; colà lo ammonii di non copiare i profeti anziani e al tempo stesso di comprarsi una tazza di maiorana e un paio di mocassini. “Cosa posso fare con questo?”, “Bivi glio pappone de Peppa, mittite gli scarpini e ‘ettate abbascio” gli consigliai fraternamente, ritenendolo ormai un martire finto. A questo punto mi rilassai alquanto nel defecare alla volta del robusto copione e solo nell’attimo in cui udii piangere costui ultimai pietosamente il supplizio con la tecnica ‘Mentone de merda Svudoi’. Mi lavai minuziosamente il prezioso pertugio e lasciai il moscone sommerso e ormai larva. La fonte di ogni male era alle strette e la sentivo chiedere mercede e finanche tentare la fuga per la vittoria; intonai allora l’Inno della Fratellanza Svudoi e mi incamminaci fremebondo verso lo luogo ove si cela ogni finale. Ivi instaurai un regime di muraglia cinese e bloccai il Passo del Ciarlatano. I finali erano tre, possibilmente attuati senza pietà: 1) potevo mangiare i polpastrelli bolliti insieme a una spruzzata di barba norrisiana e poi defecare il tutto sulle lenzuola di Michael Jackson, per poi dare la colpa a lui. Ma questo primo epilogo era poco ortodosso e lo scartai; 2) avrei potuto deviare costui sul flusso catalizzatore della fonte prosciugata dove giace la mia nemesi più antica, la quale è conosciuta col nome di Ernesto Bevilacqua. In verità costui era assorto da sempre in gorgheggi malefici e non ingoiava mai petrolio ma, diceva lui, di prediligere acqua sporca di Texano Black Rain. Qui il suppliziato avrebbe conosciuto pene orientali smisurate: le cento mani Svudoi lo avrebbero tastato tanto fino ad esaurire qualsivoglia resistenza e lì sarebbe spirato senza poter dire perdono. Però neanche cotale scempio esaudiva i miei propositi e rifiutai sdegnoso l’opzione seconda; 3) applicare aculei Joe black avvelenati negli appositi punti vitali di pressione Svudoi; dire a Raul che Re Nero non doveva ficcare l’asena de Toki per creare Mulo Mastino 13 Inflessibile. Avevo già il brevetto: quindi assecondare il ciuco malevolo a masticare il cappello del magnate inutile per poi sputarlo a guisa di boomerang australiano parlante. L’idea delle parole taglienti mi piacque assai e scelsi dunque cotale metodo per porre termine a Dallas. 


 Romino Gagarin 
Giustiziere dell’Aldilà altrui

2 commenti:

Corenese ha detto...

...e soprattutto non tollero che mi si parli appena atterrato.

Ehehehhehe
Micidiale!

Anonimo ha detto...

mortale...

'statte quèto, tezzone.'
...roba da cui prendere esempio.