venerdì 3 agosto 2007

IL GIUSTIZIERE DIVINO

ATTO Iº
Ieri ero solo con mio fratello quando mi hai ucciso e forse hai scoperto ancora il nostro segreto. Un solo fratello era meno fratello di un fratello perché ogni vita ripaga la fratellanza atea. Morii da solo, senza vergogna di morire come altri sardanapali. La fioritura del granturco tardava a fraternizzare con le canape altrui. Allora entrai dietro la quinta finestra del Palazzo del cugino di Visone Fulgenzio, maggiordomo del Reich Divino 15° , crudele imbastitore ricamato di sanguinose faide camorriste. Comunque il fratello s’accorse di pendere da una fiancata; sconvolto, io fraternizzavo con l’astuccio cercando di comprare qualche magica fisarmonica che rallegrasse la triste fratellanza tra lui e me. Ma Fulgenzio Visone non sa cosa lo ferisce al ventre futuro: forse una matita elettrica? Oppure un frocio imbalsamato nel mio astuccio? Nessuno può immaginare cosa avessi in serbo per lui: innalzai una veste sontuosa imbrattata di pidocchi e la offrii al Fratello Divino malcapitato. Proprio allora giunse un Demone dei ricordi. Senza vergogna sputai sul frustino sadomaso della mia sentenza. La Maledizione, ricordandosi di suo fratello, lo cinse e lo strinse con robuste maglie di lana; quello defecò sul tavolo della sua fidanzata e consorte, legata a stretti vincoli dozzinali. I due, uniti dalla mia rezza fatata caddero simultaneamente nel Fosso dell’Oblio. Sghignazzai e risi senza il minimo rispetto: Ahahahah! Finita la fratellanza comincerò un’altra storia che riguardava la speranza dei mortali. Un bambino paraplegico mi si avvicinò burlandosi di me: “Benvenuto mostro ricchione della Romagna” mi disse. “Che cazzo vuoi storpio?” risposi io indisponente. Il silenzio raggelò il giovinetto, che era sordo, e incurante il fratellino storpio mi toccava lussurioso. “Allora non hai capito niente?” dissi irritato dalle impudiche attenzioni del fratello storpio minore. Risi osceno e aprii l’astuccio: navi da guerra sortirono dalla tasca posteriore della chiusura lampo, l’intera popolazione fu silurata dalla flotta purificatrice dei soldatini di argilla cinesi che ancora oggi sciamano divertiti tra le natiche del nemico storpio bambino. Dopo la purificazione ero abbastanza speranzoso nell’avvenire e decisi di incamminarmi per monasteri celati alla vista di antichi sortilegi prodigiosi; scoprii la grotta l’altro ieri. Monache zizzone bighellonavano tra di loro, misurandosi la taglia. “Puttane di merda” tuonai incredulo, imbracciando l’astuccio e tirando fuori negri selvatici dal pene cariato. La sifilide sferzò duri colpi alle monache sorelle dei monasteri celati. Anch’esse furono purificate dalla mia gentilezza. L’abate scongiurò vecchi anatemi, che brillavano sfottenti senza luce. Allora mi scagliai contro l’Istituzione ecclesiastica primaria, per dargli le dovute spiegazioni. Feci fuoco dall’astuccio ancora chiuso e massacrai il chierichetto dell’Ignoranza, mentre masticava radici di sapienza. Lo gettai in pasto a conoscenze sodomite. Oramai abbandonato alla mia benevolenza, decisi di torturare il primo malconcio sacrestano della congiura. Agguantai per la mia manica costui, che volteggiava flautolento sull’altare. Accecandolo con l’incenso incandescente, lo sodomizzai fiero con il crocifisso incantato donatomi dal Destino. Il suddetto Destino si armò di pazienza nel tempio e mi guidò verso la liberazione finale: ignoto sentiero si incamminava silenzioso sotto le mie scarpe e vidi una fanciulla addormentata su un fienile immacolato. Stuprandola nel modo più antico, il sonno di lei tormentata scivolò nella mia subcoscienza. Aprii l’astuccio della misericordia e ne sortì un incrociatore sottomarino bieco; ordinai alla ciurma di caricare prima e poi i marinai seguirono l’ammiraglio Membredì. Riempirono i bastimenti di dormienti calabroni bardati e andarono contro la blasfema sognatrice incantata. Deflagrò con nuvole elettrostatiche mentre la fanciulla penetrata godeva senza svegliarsi. Allordunque i calabroni esplosero all’istante, provocando nel corpo femmineo squarci sanguinolenti e verruche altezzose. Il presente racconto incantò le mie voglie erotiche. Allora tutto il mio piano sarà concepito dalle Divinità che, adirate, iniettavano sieri intelligenti contorti nel mio braccio sinistro. Io stesso non vidi che il braccio atomico, punzecchiatomi, mi diede piacevoli attimi di delizia mistica e confluirono verso il pancreas provocandomi escrescenze. Sapienti, le mie forze seguirono il loro corso e tutto finisce manifestandosi a ogni errore causato da fatalità nemiche. Incavolato presi l’astuccio e l’ingoiai, implodendo dentro la borsa termica di Spiriti sordi maleodoranti che, nonostante tutto, pregai di perdonarmi.


Romino Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.




ATTO IIº
Venni attaccato da pigmei defunti, allora presi il manganello furbo che forse conosceva la preposizione articolata del mio alluce sinistro. Scattai lesto verso il burrone nero di pece malata; raccolsi otri enormi con le palette sortite da sottoterra e, pregno di malsane bevande, indugiai presso la zoccola senza zoccoli dell’astuccio. Immediatamente si oscurò il firmamento sulla luna piena, allorché ascese dal basso ventre un pigmeo marrone di escrescenze personali. Armeggiai col pensiero tribale sulle catapecchie infestate dai fantasmi morti dei corazzieri nani malcapitati e frantumai le teste di costoro con una mazzafrusta regalatami da Gerino il Funambolo, abitatore dei deserti del mio astuccio. Purificai i luoghi avversi dalla notte imperitura e mi recai presso la fonte prosciugata di Ernesto Bevilacqua. Colà albergava un dinosauro estinto da millenni, che canticchiava canzoni oscene in antico aramaico. Frastornato da quelle sconcezze, estrassi l’astuccio misericordioso divinatorio: ne sortì un estintore da dinosauro ed esclamai tali parole: “Pecchè non te sì stuiato gliò culo prima de ì affanculobbascio gli puzzi niri de Sessa?” Alchè lo estinsi senza pietà alcuna. Frammentre, di notte illune, il ciccione alcolizzato suddetto tornava per abbeverarsi per finta con l’ano tifone; io presi parte alle sue necessità e immantinente realizzai la sedia a pisciaturo: offrii delizie impensate al vecchio peccatore e cercai di circuirlo, al fine di punirlo successivamente. “Tu, grande alcolizzato e cirrotico, dovrai estirpare le voglie alcoliche del tuo anelare, ma senza poter obiettare alcunché.” Quello, sarcastico ribattè: “Io sono uno spaventapasseri senziente con le braccia bioniche di cartapesta; premi triangolo e vedrai che tu riuscirai magicamente a camminare sulle acque senza pieri.” Pigiai il triangolo sulla cavità naturale del pervertito, poiché tutto scorre ed io scoreggio indelebile creando la mia divina verità; avvenne che l’ano tifone rinunciò a dissetarsi dalla fonte e io decisi di fustigare oceani di merda. Decisi quindi di risparmiarlo dalle ultime giustizie concessemi ed esclamai: “Vattene a Cassino oppure a Penitro, non tornare mai più qui.” Sollevato dalle sue concessioni e allegro, decisi di colorare di rosso ogni specchio che trovai sul mio cammino. Mar Nero ignorava ciò che avevo in serbo per lui. Corsi alla volta di Odessa, ove ogni Anatolj sollazzava enormi magli con acrobatiche e nauseanti prestazioni. La Fatina incinta si espose troppo alla mia radiazione e decise di specchiarsi negli abissi del Mar Nero. Ma io spietatamente sgusciai dietro la roccia scivolosa ed estrassi un maomettano pennello fucsia capace di rigenerare capezzoli indorati; colpii la peccatrice pregna di adulterio pervicace sulle cosce rosee e cavai il frutto dell’adulterio con grosse cazzuole infuocate. Lei si abbattè al suolo esclamando “bastardo come cazzo hai escogitato tutto questo piano inclinato?” ed esaurì ogni flebile respiro. Dopodichè staccai le membra del nascituro e le regalai ad un porcellino d’India negro; il roditore gradì il dono tanto che mi ringraziò con un rutto cortese. Irato io decisi di estrapolargli i tendini mascellari per educarlo al galateo. Soddisfatto del tormento inflitto ai bulbi oculari del roditore e conscio di averlo riportato al giusto sentiero, gettai le briciole dell’animale sul selciato appena pulito da uno zingaro espositore di Magonza. Questo sdentato e opulento individuo mi guardò con fare rappreso e impertinente. Giammai una cosa simile era accaduta! Tollerante, mi accinsi a impartire le dovute spiegazioni oneste: “Tu, pezzente arricchito gli circi derubati agli poveri watussi africani, come te permetti de ‘ncrocià glio sguardo verso l’attuale giustiziere misericordioso? Ma lo slavo intimorito chiamò colui che giace nella benedizione scaltra del bonzo profeta: costui mi schiaffeggiò prima che io potessi aprire il mio astuccio. Contrariato della situazione, zippai il sacro arnese di pelle squamosa finta e trassi imperioso conifere appuntite e lacci emostatici unti di diarrea infiammabile; legai il primo dito del Sacro Schiaffeggiatore alla presunta cima arborea; poi scrollai con violenza il Grande Grizzly nascosto tra le conifere e gli sputacchiai sul muso mentre miele e castità venivano cosparsi sul presunto messia. Il balcanico scagnozzo tentava di porre fine a tale esecuzione sommaria, ma scagliare anatemi era sconsigliato; così calai un alveare nelle mutande del serbo asceta. Il malcapitato rabbrividì mentre rideva a crepapelle; l’ira produce altra doglia. Feci rapidamente due fenicotteri assassini omosessuali e li lanciai contro l’ostile animaletto peloso. Quello, inferocito, scalò il tronco con rapidità, quindi sfoderò le unghie Gillette e dilaniò dai piedi lo sventurato sacerdote Zimbello di Ucraina. Lo zingaro tentò la fuga. “Dio non si dimentica mai degli alti emisferi della scelleratezza altrui” dissi imperioso mentre il Rom fuggiasco veniva sommerso da fiumi di api modificate. Allora, mentre la pazienza raggiungeva l’apice, decisi di sterminare le rimanenti popolazioni balcaniche.


Romino Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.





ATTO IIIº
Un peregrinare continuo disturbava la mia pubblica quiete, e allora di cose seccanti ce n’erano! Ratto, chiesi al popolo di innalzarmi preghiere, affinché il mio benevolo giudizio li avesse in simpatia. Piccoli ometti sogghignavano sfottenti ai miei consigli saturi di fratellanza. Quei presuntuosi bambini ingrati intonavano coretti mistificatori, asserendo che Romino era il Gagarin più idiota del Firmamento. Felice di cotale acuta avversione, impugnai le maniche di stoffa dei Caraibi alzandomeli imbavagliati fino ai piedi di sopra dell’aere. Allora mi sollazzai nella tranciatura dei piedi rattrappiti dei trasgressori; sedevo fiero sul trono adamantino del Dio Me Medesimo, ma le mogli del vicinato sbraitavano contro il Divo Parsimonioso. Io, arbitrariamente presi quelle sgualdrine nell’intenzione di fare un divertente sollazzo per me e strappai i sigilli dell’Illibatezza di Mariangela Lemonsoda, prima sacerdotessa del vicinato. Così la seguente strage ebbe luogo: “Voi, baldracche travestite da casalinghe fiorite, stramazzate al solo pensiero di conoscere il mio pene incollerito!”. Ciò dissi, prima di abusare del loro fanatico adempimento libidinoso. Le madri lacrimose per farsi risparmiare piagnucolavano per attenuare la loro sofferenza finta, che però detestavo. Quindi spalancai l’astuccio trappano, che permise alle obese legioni di prostitute di stemperare il lamento fraterno. Spirarono urlando, soffocate dalla mani di topi titani 3° dan. Rimasi solo con il cuore benevolo sul caposaldo domestico. La rivolta fu sedata e contento della buona condotta delle altre donne le consacrai alla fede benedetta da Me Medesimo. Lascivo, mi addormentai sulle cosce mutilate misericordiosamente a comporre mosaici astratti. Ciò che sognai fu lampante: una visione mistica dalla veste licenziosa mi apparve d’incanto offrendomi il sacro astuccio della Clemenza. Piangeva. Non tollerai l’affronto e ordinai alla Dea di prostrarsi al mio benevolo giudizio. La Divina Provvidenza non esitò nel mostrarmi il suo grande dispiacere. Sfoderai l’astuccio appena donatami e non esitai a giungere presso di lei per sviscerarla nell’estrema appendice intellettiva. Il sogno mi turbò alquanto. Preoccupato, dopo aver frugato nelle tasche non ritrovai l’astuccio. Distrussi l’intero trono e adirato lo gettai giù dalla cresta del Monte Gagarin, uccidendo una vecchietta giuliva passante. Ognuno è vecchio dopo un sorriso cadente. Corsi alla velocità della luce ma non vedevo niente. Decisi allora di consultare un oracolo per mezzo del drogato sacerdote. Quel rimbambito sciamano da quattro denari mi prese in giro, asserendo che il Gran Dono della Provvidenza era stato trafugato dalla cugina di Satana Camillo, sindaco della Contea Sempreverde Infernale. Lo afferrai spiegandogli che ero Dio ma non lo potevo perdonare. Le sue suppliche si propagarono nel suo tugurio; strappai le palpebre del visionario mentitore con la pinzetta per le ciglia e permisi all’occhio di congedarsi dalle visioni. Cercai in lungo e largo, ma nulla rinvenni di sufficiente onde poter stanare l’infame ladrone. Finché non giunsi alla corte del Re dei Camposanti, stregone che sapeva invocare grandi esecutori di ricerche. La corte si allungò curiosa nelle serrature del popolo tombale e dopo alcuni interrogatori coatti si informò il re che l’Astuccio era ormai stato gettato nella benevolenza assoluta del Dalai Lama. Quel ciarlatano pensava che io non mi avvedessi del suo nascondiglio. “Due corone” disse il re rabbino. “Non ti do la centesima parte di niente” risposi fraterno mentre lo allontanavo con un’occhiata rapace. Lui protestò e io non ressi oltre: benevolo tirai un ceffone al Monarca monello e lo incitai a togliersi i bendaggi inguinali. Protestò e invocò pietà, ma non considero questo lagnarsi virtù. Morì spalmato sul suolo da capo a piedi e da quella volta lo usai come tappeto sintetico persiano. Saputo il misfatto e armatomi adeguatamente mi incamminai presso le lande dei monti tibetani. Molti fachiri defecavano dai baldacchini chiodati. Inchiodati furono da colui che corrisponde al martello, cioè Me Medesimo. Quindi sterminai lebbrosi socievoli e li bruciai per clemenza…Le giuste cause permettono sempre la purificazione dell’uomo sbagliato. Giunsi ordunque alle falde acquifere del Frinifud, famigerato monastero del signore minorato indù. Ascesi alla prossima tappa, spalancando le cosce ai portali immacolati, dove si bagnavano le concubine del Pelato Immondo Buddista. Imbracciando l’armadio lo scaraventai sulle natiche corpulente delle sirene peccatrici fino a che costoro non mi offrirono resa: “dove si nasconde quel foruncolo di materia desueta?”. Le donnacce sussurravano parole incomprensibili. Quindi la loro esistenza era ormai conclusa. Le quindici meretrici si sgretolarono sotto le mani onnipotenti del mio vigore. I chiostri erano pieni di omosessuali con vesti equivoche. Chiesi amareggiato cosa avessero addosso. Costoro non seppero darmi sufficienti spiegazioni. Allora mi gettai mortifero sulle orde sodomite scambiando le braccia con le gambe degli ometti penofili. Il contrario del naturale è spacciato alla presenza di me. Sul terzo piano, l’ultimo, c’era quel che si poteva chiamare un bubbone sotto conserva centenaria: il mio peggior cruccio pidocchioso. Imposi al Verro Eremita le seguenti condizioni: 1)le tue figlie sono segnate dal marchio della mia infinita onniscienza; 2)i doni a babbo non verranno più accettati se non tiri la moneta nella pozza dei desideri; 3)restituisci l’artefatto elargitomi dalla Dea Virginea, badessa dei miei stivali. Il Prelato lucido, appena udì le mie pretese, si inginocchiò pregando a Buddha di concedergli il teletrasporto istantaneo; ma Buddha non lo accontentò misericordiosamente, anzi s’unì a me facendo del male al suo discepolo. Lo tramortii con la statua di Buddha dorato, pesante cinque tonnellate al cubo. Ma la pesante bestiola non lo uccise. Quell’invertebrato doveva essere soppresso dopo la dovuta restituzione: “dammi il grandioso fagotto trascendentale, altrimenti ci alteriamo…e per sempre navigherai nel fetore della tua arroganza”. Il Monaco subumano tremando mi benedisse al contrario ed instaurò una complicazione nel nostro temporaneo fraternizzare. Stroncai la rotula del pustoloso con la chiave inglese di un secolo fa. Dopodichè richiesi l’Astuccio nuovamente. Quello era un bugiardo matricolato alla cappella mendace degli apostoli mentitori, quindi nulla ottenni di soddisfacente per non declassarlo ad estremo moncherino. Sicchè continuai a smontare le sue vertebre una ad una come si confà alle capre in calore e giunsi all’addome prima decidere per un’agonia più angosciante: presi tre rastrelli, adorni di speroni cosparsi di pece bollente e gli forai il cuoio capelluto che lama non possedeva. Lo privai della sua calvizie e gli procacciai finte ciocche urticanti per sopperire all’assenza di cranio. Ormai era agli sfinimenti quando decise senza obbligazione di parlare. A volte è necessaria la mano delle buone intenzioni per adempiere a buone rivelazioni. Rinvenni nel calzino dell’ultima befana passata di lì il cimelio prediletto. Il sordomuto Ecclesiastico cercava i pretesti per un compromesso dicendo: “dove posso trovare un ventilatore e un’amica vasca a sei rubinetti ed il pieno alla Esso?” Delirava. Magnanimo lo liberai dalle incombenze terrene inutili, visto che le sue palpitazioni inutili cercavano di lenire il mio animo volenteroso. Così lo ricomposi imbottendolo di dinamite ed appiccai la miccia pietoso. Beffardo il santo esplose in miriadi di frattaglie sacre.


Romino
Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.







ATTO IVº
A proposito di Bevilacqua, mi sento un povero innocente inquisitore quando, in seguito alla vacanza concessagli, mi arrivò una notizia circa le sue malefatte: compì ciò che non si può credere con orecchie razionali. Tornai presto alla fonte maledetta da me medesimo e là attesi che il malfattore facesse il proprio comodo. Non aduso a quelle nullafacenze, presi la bomba H e la sganciai su alcuni pellegrini che solevano recarsi alla fonte pia. Di costoro non rimase nulla che potesse incuriosire il concimatore motozappa, fraterno esemplare dimorante in via Volpara. Quel lestofante si appropinquò alla palla essiccata per accertarsi delle condizioni della sua dimora preferita. Attesi là paziente che quello si mostrasse per accendere un rogo purificatore. Allorché gli mostrai le complicazioni createsi, cotale fu la mia solita spiegazione: “lei si trova sulla via non concessa ai truffaldini impenitenti”. Lui tentò di fuggire mentre io lo colpii con lo zoccolo appartenuto al Grande Maestro Sushito Fuiato. Aveva tre capacità: 1)sapeva contundere eventuale fuggitivi circassi; 2)poteva infliggere danni mortali ai povere voltagabbana; 3)rendeva ciechi e sordi coloro che ignoravano il metodo Gagarin. Quel lancio fu un successo atteso da tutte le divinità sottoposte alla mia potestà. Bevilacqua era corridore approssimativo e perciò errò, mettendo male il piede sinistro su un palafreno omicida che giaceva da pochi anni nel luogo burrone; nitrì furente e trascinò il Bevilacqua nel pozzo inclinato ove giacciono numerosi penitenti ingordi, colpiti da sferzate legnose che, integerrime, provenivano da mani giapponesi. Achille era depresso e sedeva solitario presso l’armata achea. Ovviamente bestemmiò senza rendersi conto che io giacevo vicino. Estrassi il borsello incollerito da secoli e dissi: “Piè di Porco, dove potrai mai scongiurare la tua fine? Oh Pelide in fasce! Sai che colui cioè colei cioè me medesimo non agogna il ludibrio pubblico?”. Erravo. Non sapevo quale fosse il giusto monito per quel focoso ricchione armato male. Costui mi squadrò da capo a piedi ma non trovò i giusti motivi per onorarmi a dovere; ignorava con chi avesse a che fare. Mi concessi del Chinotto prima che afferrassi l’abominevole figlio di Teti e Peleo per grattargli il tallone con mille millepiedi carnivori. Allora quello s’alterò; palleggiò l’aspide colpevole di eutanasia e se lo ficcò nel baratro angolato posteriore. Era ora di pugnare gagliardamente davanti alla mura di quella merda di Troia. Il guerriero valeva 100 muli e 35 gnu muschiati, ma io ritenni giusto ridurre le forze motrici del Piè di Porco. Ordinai a Giosuè ‘Mpallinatore di costruire l’aereo tombale atomico. Non sapeva che Elena giaceva nel grembo del Giosuè fedifrago. La puttana gonfiava palloncini neri, onde evitare che il pozzo potesse cospargersi intorno. Allora io presi gloria e vanto al momento propizio. Proprio allora aprii male l’astuccio mentre orde di barbagianni rachitici defecavano lateralmente sulle mie armi. Ordunque accadde l’Iliade e io me medesimo caddi come fantoccio Trudy ai piedi del Pelide. La fine era imminente; come un gabbiano negro in balia del Ku Klux Klan, noto ambasciatore eletto a Norimberga, rovistavo nel mio borsello affinché potesse fornirmi le armi necessarie a scongiurare il nemico mortale. Avvinghiai le pudenda del diletto fratello e rosicchiai il prepuzio occipitale del membro inutile. Allora egli si dedicò all’almanacco dei castrati atlantidei. Cogliendo un epitaffio approfittai per forza affondando le pacche nervose nella Lancia Delta Force olimpionica. Sbigottito agonizzò per qualche minuto mentre credeva di perdersi la verginità delle troie iliache. Io credetti di aver avuto un infarto poiché la ferita pareva esiziale e mi calai nella sonnolenza più assoluta del mio antagonista guerriero. Presto giunse il veloce Giosuè che teneva in bocca un orecchio di Elena di Troia. Aveva l’appetito curioso del cannibale Kunta Kinte. Quindi fui mordicchiato da fauci che mi appestavano il fagotto finale. In quel mentre, Zeus si adirò con folgori Raiden alla volta di Giosuè. Non contento estrasse alcune minerve e le sfregò sul Foro Italico. Quindi il campione acheo rinvenne la Lancia Delta e la concupì con mani bramose. Io me medesimo approfittai del tutto per filarmela a gambe levate verso il Foro Italico dove sapevo che la furia di Zeus e Minerva non poteva toccarmi. Achille mi seguì per vedere dove avevo vissuto per alcuni mesi prima di rapire l’amato Patroclo. Ma io avevo già mangiato vivo costui gustandolo con contorno di patate (americane) atlantidee. Fu così che Achille rinvenne i tendini rosicchiati del povero ricchione cugino. Disperato, tentò il suicidio. Io lo toccai amabilmente sotto il perizoma e lui provò sconfinate emozioni, rammentando la nostra relazione purissima. Eppure decisi che non poteva sopravvivere al mio intento, così afferrai il tallone e lo sputazzai con liquami infiammabili per poi bollire il tutto nel pentolone magico sconfinato. In quell’istante il vecchio Aristotele decise di narrare male la leggenda di Achille Gagarin.


Romino Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.





ATTO Vº
Quando il pomeriggio era mio, io giravo a piedi per casa. Quel ciarlatano scoreggiava per farsi amare dalle signore. Nostro zio era gay parecchio, quindi danzai senza esitazione alcuna con gonne ucraine di madreperla. Venne Tre Agosto, noto allibratore di Alsazia e pretese nove quintali di calce e cemento aggrominato. Decisi quindi che la situazione doveva essere, per ovvie ragioni, bizzarra e andava su, poiché il mio culo cadde sotto Me medesimo. Ritenni giusto applicare la legge del più grande alabardiere del marchesato truffaldino di Alsazia. Slegai l’alano di Conan Suiaro e citai sacri aneddoti riguardanti tutto il perfetto Giudizio Divino. Il cagnolino non esitò certo nelle dovute occasioni e sbarnò tutti i presenti paesani. Contento di tale giustizia accarezzai la recchia del bestione che, ingrato, ricambiò con un mozzico indeciso. Celere fu la morte istantanea. I resti malconci furono cosparsi di nafta e creolina; quindi appiccai lesto la salma del molosso ingrato schifoso. Solo e angosciato ricamai le calze della Befana con motivi floreali astratti. Avevo dieci lune storzillate sulla sommità del capo, pensando alla quantità indiscussa delle scimmie antartiche nude ed io ero perplesso guardando telegiornali immondi e osceni e tentando di ottenere pietà concessi alcune leggi matriarcali. Errai, poiché divinamente le scimmie innalzarono templi a Buddha Morto. Furibondo, lampi estrassi dal trappano artifizio donatomi con infinita generosità da Piccolo Grande e Occhialuto Ignazio Arrobbafeneste quando avevo avuto il pallino integerrimo dell’onnipotenza. Capii di essere Dio gratis e allora sbottonai la cerniera benevola, incitando a osceni lamenti lemuriani le nasiche; gracchiavano male sulla mia via, così avvenne il fatto esiziale ed estrassi piramidi abbozzate a Casoria, che ospitavano enormi macrocefali estinti. Decisi di aizzarli verso civiltà sconosciute e inutili nell’Anno 0007. L’orda malevola marciò sul sentiero dell’Odio. Incauto Schillaci segnò il goal finale contro Me medesimo stesso. Inarcai parole malevole e brandii quelle tifoserie medesime affinché tutti giungessero alla lapidazione di Gheddafi. Sterminai chiunque si permise di obiettare, fin quando scelsi Blu, sommo arcano del Minareto puzzolente retrostante. Colà era ubicato un santuario velenoso poiché era stato il mio bidè preferito. Spensi la lampadina della Provincia Alsaziana eppure una solleccola arrugginita mi fece venire il colera bubbonico. Onnisciente decisi di annunciare finalmente l’investitura di Ignazio Silone non vero e allora annunciai il destino televisivo del cosiddetto Monarca Multimediale. Strillavo mediatico senza remore, dicendo: “morite a Velletri perché accà ‘nse sta allà!”. Ciò era bene e scritto nelle pagine arcane gialle del Consorzio Flautolento di Acqualandia ladra. Oramai cosciente delle mie intenzioni infinite mi autoinvestii Divinità Tolteca aurifera. Accortomi di essere Dio, frastornai il popolo del Globo Antartico con fave pubblicizzate stridenti. Forse le Entità Aliene invidiavano la potenza del mio potere, e mi inalberai nella sommità della Torre Madre Segreta del cosmo sconosciuto. Ernesto Bevilacqua giunse con schiere portatrici di favelle ancestrali. I Marziani armati attaccarono la schiera con termosifoni incandescenti finti. Allora Ernesto invocò un tronco centrale che rifulgesse le vetuste scimmie antartiche. Aprii deciso l’astuccio fuoriuscente da gorghi santi della Vecchia Chiave di Romino. “Sudditi suddividetevi veloci, i coglioni mi girano a velocità inerziale smodata!”. Quelli obbedirono tagliandosi i coglioni male quindi perirono ovviamente di coglionite acuta. La Reggia non esisteva più. Zio Filippo godeva di forti gemiti mentre arrancava sodomita su spazi intergalattici sterminati. Lo punii a sfregio accecandolo con ferule ataviche blucerchiate. Viola era il mio cerchio preferito, a forma di falco. Quindi piantai quattro grane di arbusti nelle cavità orali. La badessa viva non gonfiava la botte patriarcale morta da diversi millenni. In Germania le legioni dell’Armata Brancaleone spadroneggiavano indiscusse tra foreste sterminate infestate da bulbi oculari rifrangenti di colori cangianti blucerchiati a forma di falco blucerchiato infinito. Puntini suspentivi.


Romino Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.

mercoledì 1 agosto 2007

CRISTOPHER PAPPA

SEROTOSCROTOMALLEUCOLISI GALOPPANTE?

Rocco scrive (15.30):
salve sono un dente ribelle
keg scrive (15.31):
salve sono Michael Bublè, ho saputo che esiste un mio antagonista chiamato Ivan Bubble
Rocco scrive (15.32):
ed Ivan Bubble eccelle nello swing?
keg scrive (15.33):
mi hanno detto che tra le sue qualità è presente anche questa
keg scrive (15.33):
o lo sta divenendo
keg scrive (15.33):
a causa delle iniezioni di serotoscrotomalleucosina inviategli dal governo cinese
keg scrive (15.33):
che lui si inietta con precisione quasi millimetrica, quotidianamente
Rocco scrive (15.34):
sostanza che a Napoli hanno saputo di certo potenziare
keg scrive (15.35):
si, hanno poi scoperto che, grazie all'aggiunta di un materiale a noi sconosciuto chiamato MUZZARELL
keg scrive (15.35):
che pensiamo sia una pianta locale
Rocco scrive (15.35):
(o forse un frutto di mare)
keg scrive (15.36):
la serotoscrotomalleucosina cangia in potentissima serotoscrotomalleucosina filante
keg scrive (15.36):
che gli permette di estendere le già potentissime (sappiamo) capacità esp
Rocco scrive (15.37):
si si è plausibile...io, ma io non lo so boh!eh si si no io voglio solo uscire dalla bocca! aaaaaaaaaaaaaaa tiratemi fuori!aaaaaaaaaaaaa!
Rocco scrive (15.37):
Ivan Bubble può aiutarci?
keg scrive (15.38):
Ivan Bubble è sul punto di esplodere
keg scrive (15.38):
la sua sete di potere ha alterato il normale processo di serotoscrotomalleucolisi
Rocco scrive (15.39):
lo ha alterato male?
keg scrive (15.39):
le sue gonadi già provate potrebbero innescare una fissione nucleare!
Rocco scrive (15.40):
diaminazione! cavolacchio! e ora? non sapevo avessi gonadi...
keg scrive (15.40):
anche noi lo abbiamo rilevato solo ultimamente
keg scrive (15.41):
se l'avessimo saputo prima tutto questo si sarebbe potuto evitare
keg scrive (15.41):
ma il capo del dipartimento è ancora troppo attaccato ad un enorme elaboratore a valvole
keg scrive (15.41):
che ci ha impedito di calcolare tale scenario in tempo utile
keg scrive (15.42):
sebbene sia riuscito in imprese ben più clamorose in passato
Rocco scrive (15.42):
io posso fare qualcosa se volete...potrei morderlo con rincorsa si 15 metri sul cranio
keg scrive (15.42):
come l'emulazione del cervello di un certo Maffettone
Rocco scrive (15.42):
ah...vorrebbe forse dire Soggetto A?
keg scrive (15.42):
si
keg scrive (15.42):
proprio lui
keg scrive (15.42):
fu emulato con pieno successo mi pare
keg scrive (15.43):
ma ora la situazione pare essere stata complicata da alcune variabili
keg scrive (15.43):
che non siamo riusciti ad ignorare
keg scrive (15.44):
abbiamo dovuto introdurre nel sistema due dati che siamo quasi certi saranno fondamentali nella vicenda:
keg scrive (15.44):
1) L'enorme pene di un vecchio visto alla stazione di Cuneo inf. Bagnofalci
keg scrive (15.45):
2) La possibilità che un qualche bambino del minnesota un giorno o l'altro dia luogo ad un pericoloso fenomeno chiamato Peto Persistente, a causa della scorretta alimentazione reiterata
Rocco scrive (15.47):
beh a questo punto le conseguenze possono essere infinite...non so voi cosa avete pensato ma io mi muoverei con cautela e soprattutto tenendo conto delle conseguenze ambientali di cui risentirebbe in tutto ciò Via Gioiello
keg scrive (15.48):
E' la nostra priorità, infatti.
keg scrive (15.49):
preservare via gioiello è essenziale per l'equilibrio geopolitico dell'intera situazione caucasomeridioindia
Rocco scrive (15.51):
si...mamma che grattacapo...cazzo non voglio pensarci più
Rocco scrive (15.51):
qualcuno mi abbatta!

martedì 31 luglio 2007

SONO SCAMMELLATO

L’ASCESA DI ROMINO

PARTE I


Sono potentissimo a mangiare e a gettare sentenze; l’altro ieri sentenziai mia nonna; per l’appunto la giustiziai. Era decrepita, arrancava nella vita, per mio disgusto. Ah materia, che male ho fatto per meritarmi simile baldracca?! Non volevo, nonna, eppure ho dovuto ucciderti. Fatta a pezzi, ripensai all’infanzia, età di mutilazioni. Un giorno invitammo una famiglia: avevo poco più di tre anni. Costoro baccanavano. Io corsi in cantina e afferrai l’ascia di famiglia marchiata “Estinguero”; dal congelatore ne trassi piranha ghiacciati e carne putrefatta. Rimpinguai i vassoi di cotali pietanze. Ferro e ghiaccio selle labbra, occhi sanguinari e quel po’ di dignità sparirono dalle bocche dei peccatori. Misi un dito in culo a mia zia cercando di conoscere vergognose profondità: il ditino odorava di escremento primordiale. Non lo feci mai più. Andai fin dove papà mi esortava ad obbedire, allora gli risposi: “Basta, io ripudio la casa vostra e decido autonomamente i presupposti per sterminare a caso ogni peccatore corrente”. Quindi trassi zaino Ben Johnson, conosciuto meglio come Estinguero Doping, ricettacolo odierno di stupefacenti nocivi. Andai presso la parrocchia, parlai col parroco sodomita dicendo: “Muori con agonia ed estremo rimpianto!”. Divenni pacifico solo con dovuta determinazione, poiché è giusto fare ospitalità a poveri senza tetto che possono salvarsi e pure nutrire emozioni dovute. Ovviamente scherzavo. Odio pensare alle forme di tali incresciosi incontri. Perirono tramite sette motozappe inarrestabili a kerosene, ognuna con veleno datogli tramite siringhe. Evacuai l’ambiente disinfestandolo da anime tarlate e rasi al suolo la casa e l’intero quartiere. Qui comincia la storia di Romino Gagarin, inquisitore dell’universo siderale. Adolescenza: per campare vendevo fagotti pieni di monete rubate all’Abominevole Prelato Succhiauccelli che, ben si sa, violentava chiunque passasse. Nel tempo mi accorgevo che donare nuoceva al fegato sottoscritto di Me medesimo. Bevvi più pozioni eccitanti, dopandomi prima di primandomi; dopo essermi lavato mi potenziai le ascelle alla fonte proibita. Uccidevo per mio piacere senza lavarmi i piedi. Godevo della tortura su miseri esseri inconsapevoli che peccavano in malo modo. Una fanciulla mi desiderava; io non sapevo accettare l’idea di dover copulare. Allora l’amore fuggì. Caddi nella spirale automatica e contorta; mentre inserivo il pene provai un sentimento erotico sequenziale e allegro cantai lodi ai Maestri Cantori Tibetani. Quando avevo 14 età le palle vorticavano incresciosamente senza tregua, allorché mi iniettai alcune sostanze strane che ricavai da arbusti boliviani stracotti con contorno di genziana sicula. Tutto ciò tramutò Me medesimo accrescendo vigoria et spietatezza indefessa. Voglioso di smembrare ancora poveretti, chi ci capitava immancabilmente finiva i suoi miseri anni nonché secondi di vergogna. Presi la pianta nascosta velenosa passandola sulle lingue dimenticate, contaminando tutto l’organismo planetario. Crescevo col giudizio innato a Me concesso, facendo supplizi graziosi. In quei giorni fulmini dentro saette rombavano ribelli a comando. L’Escrescenza sortì dal Rene Spaziale, comandante onirico dei boy-scout sornioni. Vedevo astucci e sognavo di suppliziare l’estremo monaco anglosassone rifugiato a Tivoli. Ottenevo cose inaudite iniettandomi visioni interminabili. Neuroni (pochi) protestavano male nel cranio di Me medesimo. Afferrai un culo primitivo e peloso e me ne servii facendo quattro spaghetti chiodati e letali. Mangiai ogni briciola con ingordigia facendo rutti ancestrali che subito penetravano dentro la materia grigia purificando dentro il cranio le tendenze peccatrici e fustigandole innumerevoli fiate. Morirono immantinente. Capii allora che uno solo era ancora vivo: Abbarbicatus VIII. Consapevole di ciò potei cominciare il destino che mi era assegnato. Superai i venti inverni allorché Zendur Divenom mi investì della carica primaria di Santo Mietitore della Cappella Sistina. In breve bonificai ‘utto coso con l’aiuto della Santa Provvidenza Inquisitoria. Le motozappe le nominai principali sterminatrici; fresando e cogliendo i frutti raggiunsi l’apice della misericordia papale. Perdevo colpi 8mm dalle orecchie, per cui le tappai con acidi spietati rinforzandomi le membra oltremodo. “Basta!”. Fu allora che imbracciai la carriera di Genocida della Mesopotamia.. Zendur Divenom, mio maestro inferiore, venne a redarguirmi, errando; proposte sconce mi propalò noncurante di quanto lo detestassi. Subito partì un manrovescio istigatomi ingenuamente. Colpendo le pudenda dell’altisonante Pontefice Nero, urlai con sublime ferocia: “Misero, non sarai più considerato materia. Allora ci riterremo antagonisti immediatamente. Di due solo uno resterà vivo. Preparati, oggi precipiterai dentro otri d’abisso e colà abbandonerai questo tuo costume altezzoso”. Sfoderai l’acciarino situato in profonde sacche e accesi l’Avvento. Sfregai il prelato nella sua maldicenza; ovviamente prese ad ardere malamente. L’odore malsano raggiunse financo Bevilacqua, noto truffaldino abile nel disinnescare genocidi. Tale suo fastidioso uffizio procuravami enormi fastidi alla mente esecutrice e attivò l’unica molecola in grado di obbedire a tali imperativi:


  1. Moltiplicare sempre dolori e piaghe altrui;
  2. Invocare l’aiuto di pianole lanciafiamme;
  3. Costruire trappole a dismisura ormonale;
  4. Instaurare prostitute senza pube peloso;
  5. Fondare clan imperiali armati male;
  6. Trasmettere malattie infettive tramite Baci Perugina;
  7. Visualizzare le orecchie tappate per articolare allucinazioni inconsce;
  8. Mai rubare leccornie a Me medesimo:
  9. Estirpare l’oscuro signore cattolico;
  10. Venerare Unico e incontrastato Sire Purificatore.



PARTE II

Il giorno dopo pervenne un messaggio fondamentale dall’aguzzino di Bevilacqua: “lei sta approfittando arbitrariamente dei poteri concessili dal Creatore; per tale increscioso espediente ritengo doveroso declassarla prima ad Identificatore Zerbini, senza libertà di scelta; poi, con dispiacere falso, ritengo che scempi cotali meritino una ripassata esemplare tramite elettroshock. Per cui dispongo la purificazione vostra immediata attraverso pogrom siderurgici siti nella Contea di Worbick sul burrone. Ossequiosi saluti, attendo con ansia la risposta”. Euforicamente spellai il messo malcapitato e sulla pelle impressi il logo seguente: “distinto sciacquino saccente, ‘mparate a laverete prima de parlà co Me medesimo. Scordate la fessa poiché prossimamente mutilerò la vostra persona nelle parti indispensabili”. Caricai a molla un chierichetto meccanico trasportatore di pene indefinite e lo inviai presso la Fonte Prosciugata ove svernava il burocrate indisponente. Giunse in risposta uno strano cyborg ricchione dotato di apparecchio comunicatore desueto: “lei, comunemente considerato voltagabbana, è sottomesso irrimediabilmente alla mia potestà, quindi ubbidisca alle direttive primarie del priorato”. Io cordialmente lo esulcerai in superficie tracciandogli alcuni motti della Setta di Alamut sulla crosta robotica:
Motto 1°: Panettone Motta uccide chi non mette chiarezza nelle parole del matto;
Motto 2°: Metto pace solo quando i matti se fanno Maometto;
Motto Triangolo: Mitti gl’aseno dento la marnella matta.
Affidai il rottame alla betoniera gentile, nota come Atomic Desire che, ratta, lo condusse al mittente. Il pennivendolo non reagiva proprio, sicchè piuttosto indispettito mi sollecitai medesimamente a concepire vendetta: costruii un torturatore bionico con rastrelli elettrici di efficacia incontestabile e pialle roventi che vi agivano a di castratrici clementi. Ancora non ero giunto all’apice della mia creazione attuale poiché un Romino deve soppesare le conseguenze di ogni marchingegno letale prima di soffiarsi il pertugio lombare. Ricondussi presto l’artifizio all’attività primaria per cui era stato creato; quindi attivai Cursore Liechtestein 128 che era controllore del traffico submeccanico e digitai “velocità mach 5²”. Orbene, affidandomi al Giudizio del Destino spedii la diavoleria alla volta del nemico famigerato. Coordinai infallibilmente l’ascissa sul meridiano 136 e cliccai “modalità repulsiva ininterrotta” detta Mandrake. Vortici taglienti sortirono presto dagli antri cibernetici dell’organismo che esultava selvaggiamente al solo rombo castratorio. Quando Bevilacqua si destò intravide saette perforanti disegnate sul prepuzio ormai spacciato. Gridò: “Ahimè, povero cappone! Come ficcherò ora che sono privo di virile materia? Oh Diva Provvidenza, accorri a sostegno del tuo pargolo prediletto!”. Mentre il mio intelletto inaspriva il supplizio alla sua volta, la Dea apparve in tutto il suo squallore libidinoso asserendo: “Oh figli, cotali diverbi nuociono gravemente al mondo tutto. State esagerando, orsù riappacificatevi subito, da bravi”. Io sghignazzavo felice poiché la pena era meritata; però ella ritenne doveroso ammonirmi sensualmente; alchè l’impulso primario s’attivò impellente. Sfoderai Seggia Scoccio Ingravidante munita di ormoni virali crepitanti, per l’inseminazione divina. Afferrai Zaino Ben Johnson al fine di trarre diletto erotico dalle sue droghe, mentre la Meretrice ansimava sfregando i testicoli del Bevilacqua come gingilli antistress. Il povero guardiano piangeva invano poiché Noi (io e la pottana), somme divinità, godevamo all’unisono. Dopo tale coito preliminare giunse la successiva copula conosciuta come fase di gratificazione sessuale senza freno, meglio nota come “Dreyfuss 15° McLaren Porno”; accesi il lume fecondatore e incendiai le ovaie con seme ultraterreno intellettivo. Virus cappadociani motorizzati si autoreplicavano a dismisura generando un astuccio rampollo. Singolare strumento, era invero tale e quale al parto cerebrale che sovrastava l’Olimpo allorché Giove s’incupì alla vista di Me medesimo. Lo spalancai frugandovi ferocemente: trovai una foresta appuntita e la temperai grossolanamente dentro Ernesto a di temperino. Nel frattempo la mia fiamma libidinosa si spense e la Diva fu congedata. Ora, miei signori, tale vicenda si fonda su una sola arma: l’Astuccio Purificatore, mezzo uomo, mezzo fagotto, mezzo universo parallelo condotto qui dalla Baldracca Onnisciente.


Romino Gagarin, Grande Purificatore dell’Aldilà altrui.


PISTACCHIO INCENERITO